Microventilazione dimenticata

Per numerosi anni, diciamo più o meno dal dopoguerra in avanti, gli elementi che costituiscono il manto impermeabile della maggior parte della nostra edilizia (tegole e coppi) sono stati posati tramite “allettamento su malta fresca” su una struttura di falda continua costituita da un solaio quasi sempre in laterocemento. Prima era più raro, non diciamo improbabile, ma certamente meno frequente. Probabilmente si vedevano anche prima soluzioni di posa “a malta fresca” delle tegole o dei coppi su piani di falda continui realizzate con tavelline in laterizio supportate da strutture lignee, ma più spesso la posa degli elementi del manto avveniva su strutture discontinue realizzate da una serie di orditure incrociate di elementi lignei.
La “posa a malta” su struttura discontinua era quindi impossibile. Gli elementi del manto in queste situazioni di supporto venivano inevitabilmente posati “a secco” o meglio “a incastro” sfruttando una caratteristica funzionale che già diversi prodotti possedevano: il nasello posteriore di aggancio, oppure realizzando delle orditure di supporto in grado di stabilizzare anche i coppi più artigianali in modo sicuro ed efficace. In questo modo l’aria che filtrava tra gli elementi del manto e della struttura interessava l’intero volume sottotetto dando origine a un sistema di ampia circolazione d’aria definibile come solaio aerato.

Poi le cose sono cambiate rapidamente, vuoi per il costo delle strutture in legno, o per la necessità di abili maestranze per la posa, per la reperibilità della materia prima o per la maggiore semplicità e rapidità di posa di un solaio in laterocemento, vuoi certamente per la possibilità di disporre di un volume sottotetto più protetto e quindi utilizzabile a vari scopi spesso abitativi, il solaio di falda è diventato continuo e nel volume sottotetto non è circolata più l’aria. Nessun problema.

Di fronte al desiderio o alla necessità di utilizzare il volume sottotetto l’indispensabile circolazione di aria poteva essere spostata sul piano di falda posando le tegole a secco e ad incastro.

Come resistere di fronte a un piano di falda continuo e a un legante che pareva non avesse limiti di tenuta e resistenza (il cemento). Niente di più facile e ovvio che abbandonare le antiche e complesse tecniche di posa a secco a favore di una posa libera su un piano di falda uniforme e omogeneo “fissando” le tegole al supporto con malta di cemento. Ma anche il cemento ha il suo costo e prepararlo a piè d’opera e portarlo in quota costa fatica.

Meglio limitarne l’impiego allettando tegole o coppi solo una fila ogni due, ogni tre, ogni quattro, ogni mai: tanto “non scivolano”. In alcune aree certe maestranze hanno resistito. Per capacità costruttiva, per conoscenza o esperienza, per condizioni climatiche critiche o per tradizione hanno continuato la posa a secco, opportunamente ricostituite anche al di sopra di un solaio di falda continuo in laterocemento o in tavolato ligneo, ma sono casi non particolarmente frequenti.

La maggior parte delle imprese ha adottato questa nuova tecnica di posa che semplificava e velocizzava la messa in opera, in un periodo in cui si badava poco alla qualità del costruito e molto al costo, al tempo e alla quantità.

E sono cominciati una serie di problemi:
• le tegole o i coppi allettati su malta fresca non sono tutti “murati” ma solo alcune file, gli altri elementi, liberi di muoversi, scivolano a valle alla prima nevicata o movimento del supporto strutturale accatastandosi gli uni sugli altri e liberando porzioni di tetto all’infiltrazione dell’acqua;

• l’aria che circolava liberamente al di sotto delle tegole o dei coppi nel caso di struttura discontinua, investendo l’intero volume sottotetto e mantenendo asciutti gli elementi del manto nonché la struttura, ha smesso di muoversi sotto le tegole impedita da informi cordoli di malta fresca.
Da una parte quindi il rischio della mobilità del manto dato che, abbandonato l’utilizzo degli appositi dentelli per l’aggancio delletegole alla struttura di supporto, si corre il rischio che gli elementi scivolino verso la linea di gronda; dall’altra la mancanza di una qualsiasi circolazione d’aria nel sottomanto rischia di innescare una serie di problemi di non poco conto:

• l’acqua imbibita dalle tegole o dai coppi in caso di pioggia è opportuno che evapori rapidamente permanendo nel corpo dell’elemento il meno possibile. Infatti se in questo lasso di tempo la temperatura si avvicina allo zero, l’acqua imbibita rischia di ghiacciare all’interno dell’elemento provocando distacchi e/o rotture. La circolazione di aria nel sottomanto (microventilazione), che la posa a malta fresca impedisce, limita questo rischio;

• il vapore acqueo prodotto all’interno dell’alloggio dalle normali attività umane tende a salire e può anche riuscire a passare attraverso la struttura portante di supporto del tetto, specie se realizzata con elementi lignei e un tavolato di chiusura superiore. Questo vapore, che in talune situazioni può essere generato anche in notevoli quantità per esempio da un locale igienico nel sottotetto o da una lavanderia, potrebbe condensare all’intradosso freddo del manto impermeabile e le gocce di rugiada ricadere sul solaio di falda e, macchiandolo, dare l’impressione di una tegola rotta che risulta impossibile da trovare a una successiva ispezione. La circolazione di aria nel sottomanto (microventilazione) tende a diluire e allontanare il vapore che sale dall’alloggio limitando questo rischio e contribuisce, laddove il fenomeno avvenga, a una più rapida asciugatura dell’intradosso del manto limitando il rischio di caduta delle gocce di condensa e imbibizione degli elementi, specie se in laterizio;

• lo stesso vapore e l’aria calda in generale che sale dall’alloggio tendono a riscaldare in modo differente il pacchetto di copertura facendo sì che la linea di colmo risulti più calda del resto del piano di falda in quanto in questo punto tende a concentrarsi l’aria calda. In presenza di manto nevoso, la neve in prossimità del colmo si scioglie quindi più rapidamente che nelle altre parti del tetto provocando uno stillicidio di acqua. Questa acqua da neve disciolta ruscella fino allo sporto del cornicione di gronda in prossimità del quale, mancando il volume caldo della casa sottostante, tende a ghiacciare sullo sporto di gronda impedendo all’acqua, che continua a giungere dalla linea di colmo, di defluire in grondaia. L’inevitabile accumulo porta a delle infiltrazioni a meno che l’opportuna circolazione d’aria (microventilazione) nel sottomanto non favorisca l’evacuazione dell’aria calda che giunge dall’alloggio sottostante, mantenendo l’intero manto di copertura a valori di temperatura analoghi ed evitando scioglimenti differenziati del manto nevoso;

• in clima estivo, questa circolazione di aria nel sottomanto, per quanto minima e infatti nota come microventilazione, favorisce lo smaltimento del calore del sole che batte sul manto di copertura limitando il surriscaldamento del volume sottotetto. Si tratta in verità di un contributo abbastanza limitato da questo punto di vista, ma comunque da sommare a tutti gli altri benefici. In caso di reale necessità di smaltire percentuali rilevanti di calore solare la soluzione da adottare è quella del tetto ventilato che si differenzia sostanzialmente da quanto descritto per una maggiore quantità di aria circolante.

La circolazione di aria che si innesca con questa modalità, al di là delle sue indiscutibili caratteristiche funzionali, è peraltro oggetto di specifica normativa (norma UNI 9460) nelle quale prende infatti il nome di microventilazione, è quindi sempre presente in tutti gli schemi funzionali e soluzioni conformi previste dalla norma per svolgere le indispensabili funzioni precedentemente descritte. Non si tratta quindi di una scelta o di una possibile modalità di posa ma dell’indispensabile e corretto modo di posare un manto di tegole o coppi di qualsiasi materiale e di qualsiasi produzione. La quantità di aria che può circolare al di sotto di un manto impermeabile, nel pacchetto di elementi e strati che costituiscono una copertura di un tetto a falde, è un pò come la cilindrata di una autovettura: più è alta, migliori sono le prestazioni. Non è però detto, come nel caso delle auto, che sia sempre meglio una “cilindrata elevata”; come sempre le prestazioni di un sistema tecnico devono essere commisurate alle necessità di chi lo deve impiegare. Alcuni utenti possono avere necessità di una “cilindrata” maggiore mentre altri, per il tipo di impiego che fanno della autovettura, possono accontentarsi, se non addirittura preferire, delle cilindrate più modeste. Per alcuni può essere quindi sufficiente una microventilazione mentre altri possono avere necessità di una ventilazione vera e propria.
Ma fra la microventilazione e la ventilazione esiste però una differenza sostanziale: sempre di aria si tratta e quindi alla fine le prestazioni, più o meno elevate, potrebbero essere considerate le medesime, ma mentre la soluzione tecnico costruttiva della microventilazione è una soluzione fondamentale e “obbligatoria”, la ventilazione è una scelta opzionale che il progettista può fare o meno a seconda della caratteristiche termoigrometriche che desidera ottenere dalla copertura, in funzione della qualità ambientale degli ambienti sottotetto. La microventilazione deve essere considerata obbligatoria in quanto fornisce una serie di prestazioni indispensabili al buon funzionamento di un tetto a falde ed è infatti sempre prevista in tutti gli schemi funzionali delle norme UNI (cfr. UNI 8627 e UNI 9460) indipendentemente dal fatto che il tetto sia anche ulteriormente ventilato, oppure eventualmente anche termoisolato, oppure nessuna di queste caratteristiche. La ventilazione infatti, come l’isolamento termico, sono soluzioni di progetto che il progettista può decidere di realizzare oppure no.
La ventilazione è utile per evitare il surriscaldamento del volume mansardato del sottotetto in regime estivo, la coibentazione serve per evitare eccessive fughe di calore dagli ambienti sottostanti in regime invernale. Ma se l’edificio in costruzione non necessita di isolamento termico ne ventilazione (per esempio un magazzino, una autorimessa, un deposito, ecc.) queste tecniche di controllo termoigrometrico dell’ambiente non sono necessarie. È invece sempre indispensabile la presenza della microventilazione. Scopo principale della ventilazione è quello di smaltire una parte del calore estivo dovuto all’irraggiamento solare che riscalda le tegole portandole, in una buona giornata di luglio, a una temperatura facilmente oltre i sessanta-settanta gradi. Prima che il calore accumulato dal manto di copertura si trasferisca in buona parte alla struttura di supporto del solaio di falda e da qui al volume mansardato riscaldandolo oltre limiti sopportabili, la circolazione di aria nel sottomanto attivata dalla ventilazione diluisce e allontana una parte di questo carico energetico contribuendo al controllo della temperatura interna. Si tratta di una scelta di progetto in quanto se nel sottotetto non è prevista alcuna attività abitativa, oppure se la falda è rivolta a nord e quindi soleggiata poco o niente, oppure ancora se certe ombre riportate di edifici adiacenti o di presenze naturali (alberi, montagne, ecc.) impediscono ai raggi solari di giungere pienamente sulla copertura; la soluzione tecnico costruttiva della ventilazione probabilmente è abbastanza superflua; al contrario, in una falda rivolta a sud con una camera da letto nel sottotetto la ventilazione può costituire una interessante alternativa, o un abbinamento a costo energetico zero, a un impianto di condizionamento.

Tetti ventilati o microventilati?